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Presentazione

Manifestazione 'liberi di fare'

Manifestazione 'liberi di fare' in piazza della Repubblica a Firenze il 3 novembre 2017

Manifestazione 'liberi di fare' in piazza della Repubblica a Firenze il 3 novembre 2017


Manifestazione 'liberi di fare'

Manifestazione 'liberi di fare' in piazza della Repubblica a Firenze il 3 novembre 2017

Manifestazione 'liberi di fare' in piazza della Repubblica a Firenze il 3 novembre 2017


Manifestazione 'liberi di fare'

Manifestazione 'liberi di fare' in piazza della Repubblica a Firenze il 3 novembre 2017

Manifestazione 'liberi di fare' in piazza della Repubblica a Firenze il 3 novembre 2017


 

di Raffaello Belli

 

 

1             Il diritto alla vita indipendente

  Nel titolo della Legge regionale della Lombardia n. 25 del 2022[1] c’è il riconoscimento del diritto alla vita indipendente”.  Quindi dovrebbe essere indubbio che in Lombardia per i disabili la vita indipendente è un diritto.  Tanto più se si considera che si tratta della riaffermazione di un diritto già stabilito in altre norme giuridiche di rango superiore.

  Salvo osservare subito che all’articolo 10 comma 1, laddove si va più sul concreto dei "criteri di accreditamento, funzionamento, finanziamento", non c'è la garanzia del diritto alla vita indipendente, bensì, molto più miseramente, alla lettera a) c'è il dovere di "permettere e favorire il diritto alla vita indipendente".  Fra l’altro si osserva che "permettere ... il diritto" significa discriminare i disabili come esseri inferiori.  Infatti o non si tratta di un diritto, e allora si può "permettere, oppure è un diritto e allora o lo si è creato, oppure lo si "riconosce e/o lo si garantisce”.

 

2             Interventi “diurni e residenziali”

  Nell'articolo 1 comma 1 lettera b) della Legge qui in esame c’è scritto: accesso ai servizi e agli interventi domiciliari, diurni e residenziali della rete sanitaria, sociosanitaria e sociale, finalizzato al sostegno alla vita indipendente, garantendo l’inclusione nel tessuto sociale ed evitando l’isolamento o la segregazione”.

  Questa frase è chiaramente ripresa dalla lettera b) dell’articolo 19 della Convenzione dell’Onu sui disabili.  In primo luogo nella Convenzione non c’è la parola diurni, che invece è presente in questa Legge della Lombardia.  È evidente che, in questo contesto, per i disabili che intendono vivere una vita indipendente, presa a sé stante, la parola diurni è illegittima, perché, come tutte le persone, anche i disabili hanno diritto di vivere la propria vita anche la sera e la notte.

  Inoltre in questa Legge della Lombardia si menzionano al primo posto i servizi della rete sanitaria”.  Il c.d. modello medico della disabilità è stato superato dalla Convenzione dell’Onu sui disabili; per cui la parola sanitaria è davvero fuori luogo, in particolar modo perché è stata messa al primo posto, mentre nella Convenzione dell’Onu è assente, per cui, al limite, poteva essere come arricchimento finale.

  Va poi sottolineato che le parole interventi domiciliari, ... e residenziali vanno intesi nel senso che inizino, e si esplicano in parte, nell’abitazione del disabile, e non nel senso che si esplicano esclusivamente, o prevalentemente nella sua abitazione.  Il punto è decisivo innanzitutto perché l’obiettivo è l’inclusione nel tessuto sociale ... evitando l’isolamento o la segregazione, e quindi un parte fondamentale della vita indipendente, per la quale c’è necessità di assistenza personale, si esplica proprio fuori dal domicilio.  E poi perché l’espressione interventi domiciliari, diurni e residenziali impone di temere che, usciti dalla porta della Convenzione, i centri rientrino dalla finestra di questa Legge regionale.  Timore questo che diventa pressoché una certezza laddove, all’articolo 7 comma 2 lettera b) di questa Legge regionale n. 25, si dispone "interventi residenziali e semiresidenziali sperimentali degli enti locali".

  In proposito si osserva che nella Convenzione dell’Onu sui disabili all’articolo 19 alla lettera a) c'è scritto che "le persone con disabilità abbiano la possibilità di scegliere, su base di uguaglianza con gli altri, il proprio luogo di residenza e dove e con chi vivere e non siano obbligate a vivere in una particolare sistemazione" e alla lettera c) viene aggiunto "i servizi e le strutture sociali destinate a tutta la popolazione siano messe a disposizione, su base di uguaglianza con gli altri".  Per cui diventa decisivo che la popolazione italiana cd. normodotata non vive nei centri diurni e residenziali”.

 

3             Le menomazioni e le compromissioni ammesse

  Nell'articolo 2 comma 1 lettera a) della Legge regionale n. 25 sono ammessi alla vita indipendente soggetti che presentano durature menomazioni o compromissioni funzionali fisiche, mentali, intellettive o sensoriali non determinate dall’invecchiamento o da patologie connesse alla senilità”.

  Quindi rientrano espressamente nella vita indipendente anche persone con difficoltà mentali e/o psichiche.

  Rispetto a talune normative di anni passati, questo è un passo avanti importante, è conforme alla Convenzione dell’Onu su disabili, che all’articolo 19 per la vita indipendente dispone tutte le persone con disabilità”.  Ed è anche conforme alla legge nazionale n. 227 del 2021[2].  Si osserva pure che sul punto la normativa della Toscana non è affatto chiara[3].

  Inoltre la Legge regionale lombarda n. 25 non pone limiti di età per la vita indipendente, né verso la minore età e neppure verso gli anziani.  Anche su questo la Lombardia è conforme alla Convenzione dell’Onu sui disabili.  Ed è più avanti della legge nazionale n. 227[4] e della normativa della Regione Toscana[5].

  In proposito si ricorda che, oltre a non fare alcuna questione di età nell’articolo 19 sulla vita indipendente, nel Preambolo lettera p) e articolo 8 comma 1 lettera b) la Convenzione dell’Onu sui disabili vieta discriminazioni in base all’età.  Inoltre, se non altro, questa discriminazione è vietata anche dall’articolo 3 della Costituzione italiana.  A fine settembre 2022 a Bruxelles il movimento europeo per la vita indipendente ha organizzato una serie di convegni, durante i quali è stata sottolineata anche l’importanza di non escludere gli anziani dalla vita indipendente.

  Va tuttavia osservato che la Legge n. 25 della Lombardia esclude dalla vita indipendente le persone che hanno difficoltà determinate dall’invecchiamento o da patologie connesse alla senilità”.  E questo mentre invece mantenere una vita attiva per ora è l’unico rimedio possibile per prevenire o contenere queste patologie.

 

4             Non solo handicap grave

  L’articolo 3 della Legge n. 25 lombarda stabilisce: Le disposizioni della presente legge si applicano ... alle persone con disabilità ... che sono in possesso di una certificazione di invalidità civile non inferiore al quarantasei per cento, rilasciata ai sensi della normativa vigente, o di una certificazione ai sensi dell'articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n.104”.

  Dunque in Lombardia la vita indipendente è per tutti i disabili, e non soltanto per chi è in situazione di gravità come avviene in Toscana.

 

5             L’Isee

  Nell'articolo 3 comma 1 di questa Legge n. 25 c’è scritto: Le disposizioni della presente legge si applicano, indipendentemente dalla tipologia di compromissione funzionale, dal livello di intensità del bisogno di sostegno, dal reddito e dal patrimonio posseduti, alle persone con disabilità residenti nel territorio regionale”.

  Dunque parrebbe che, in base a questa Legge n. 25, in Lombardia, per quanto riguarda la vita indipendente, non si applica l’Isee; il che sarebbe un passo avanti di non poco conto.  E soprattutto sarebbe un’affermazione di principio importante.  Sul fatto che l’Isee è incompatibile con la vita dei disabili ho già scritto un libro[6] e non possono che essere condivise le parole secondo le quali, sotto il profilo dell’uguaglianza, imporre l’ISEE significa creare una discriminazione: quale altro cittadino senza disabilità partecipa alla spesa di portare il bicchiere o la forchetta alla bocca oppure di cambiare posizione nel letto o uscire di casa o rientrarci?[7]

  Sennonché nel progetto di Legge, approvato dalla III Commissione consiliare della Lombardia, all’articolo 7 comma 1 c’era scritto indipendentemente dalla situazione reddituale, mentre queste parole non ci sono più nella Legge approvata dal Consiglio Regionale della Lombardia.  Inoltre nell’articolo 7 comma 2 lettera h) della stessa Legge viene stabilito che, per quanto riguarda il Budget, vanno considerati anche i trasferimenti monetari di tipo assistenziale, previdenziale e le risorse personali”.

  Quindi parrebbe che, per quanto riguarda la predisposizione del progetto individuale non vada considerato l’Isee.  Ovvero, qualunque disabile, a prescindere dal proprio Isee, può chiedere ai servizi sociali la predisposizione del progetto individuale.  Però poi, quando viene determinata la cifra necessaria per l’attuazione concreta del progetto di vita allora deve contribuire anche il disabile, con il proprio reddito.  Non solo, ma non viene neanche stabilito alcun criterio in base al quale il disabile deve contribuire con il proprio patrimonio e il proprio reddito alle spese per la propria assistenza personale.  Il che, per taluni aspetti, potrebbe essere peggio dell’Isee.  Infatti, applicando l’Isee, sono stabilite per legge le regole in base alle quali il disabile deve contribuire con il proprio patrimonio e il proprio reddito.  E quindi queste regole possono anche essere contestate in tribunale in maniera abbastanza precisa e puntuale.  Viceversa, con le parole i trasferimenti monetari di tipo assistenziale, previdenziale e le risorse personali, contenute in questa Legge Regionale n. 25, ogni volta sono le autorità locali a decidere quanto ogni singola persona disabile deve contribuire alle proprie spese assistenziali.

  Poiché queste spese servono prima di tutto a consentire ai disabili gravi il concreto esercizio dei propri diritti fondamentali, in termini giuridici si potrebbe dire che questa Legge Regionale diminuisce la certezza del diritto proprio su un tema sensibile come i diritti fondamentali dei disabili.  In parole più semplici, si può dire che questa Legge regionale lascia i disabili, in particolar modo i disabili gravi, in balia delle assistenti sociali e dei funzionari locali più di quanto li lascia la legge nazionale sull’Isee.  Salvo precisare che, almeno in teoria, nulla esclude che, di fronte alle realtà concrete delle singole situazioni della vita, i funzionari locali lombardi siano più attenti ai diritti dei disabili di quanto lo è stato il legislatore nei palazzi romani.

 

6             Il progetto di vita

  Nell'articolo 5 della Legge regionale n. 25 della Lombardia, per il singolo disabile grave, è previsto il progetto di vita individuale, personalizzato e partecipato”.

  In primo luogo va rilevato che alle persone cd. normodotate, per poter vivere, non viene richiesto di dover fare un progetto di vita, per cui imporre questo ai disabili di fatto significa creare una categoria di cittadini che deve presentare un progetto per poter compiere azioni quotidiane come alzarsi, lavarsi, mangiare, incontrare altri cittadini[8], generando quindi una discriminazione.

  Il che è tanto più grave perché, se non altro in base al comma 2 dell’articolo 3 della Costituzione, la Repubblica (Regione compresa) dovrebbe agevolare la vita dei disabili, soprattutto gravi.  Invece, con l’obbligo di fare il progetto di vita, la Repubblica complica la vita dei disabili perché li costringe a fare una cosa che non è richiesta a chi è normodotato.  Inoltre, anche per queste ultime persone, dover richiedere un progetto di vita, e dover partecipare alla sua formazione, sarebbe comunque una complicazione in più nella vita.  Ma per chi ha gravi difficoltà fisiche-psichiche-mentali-sensoriali la complicazione è molto maggiore, per motivi che dovrebbero essere facilmente comprensibili anche con la normale diligenza del buon padre di famiglia”.

  E la complicazione-discriminazione è ancora più grave perché è evidente che la Legge regionale n. 25 qui esaminata obbliga il disabile, che vuol vivere in maniera indipendente, a fare il progetto di vita[9].

  L’obbligo c’è se non altro perché:

1)    il finanziamento-budget (articolo 7) è subordinato al progetto, e, senza finanziamenti pubblici, soltanto chi è straricco può fare vita indipendente;

2)    l’assistenza personale (articolo 8) è subordinata al progetto, e, senza assistenza personale, soltanto chi ha lievi disabilità può fare vita indipendente.

  Inoltre, per poter fare un progetto di vita decente, è prima necessario conoscere un po' il mondo, conoscere un po' l’ambiente sociale in cui si è destinati a vivere.  E senza vita indipendente il disabile grave non può rendersi conto veramente dell’ambiente sociale in cui è destinato a vivere.  Quindi, subordinare i fondi per la vita indipendente al progetto di vita significa far abortire sul nascere la possibilità concreta per il disabile grave di poter autodeterminare la propria vita, e quindi far abortire la vita indipendente.

  Nello stesso articolo 5, ma al comma 1, viene stabilito che La persona con disabilità è titolare del progetto di vita individuale, personalizzato e partecipato e, a tal fine, partecipa attivamente alla definizione dello stesso, determinandone i contenuti sulla base dei propri bisogni, interessi, richieste, desideri e preferenze”.  Invece nella Legge nazionale n. 227 (citata sopra) articolo 2 comma 2 lettera c) punto 5) viene stabilito di prevedere che il progetto di vita individuale, personalizzato e partecipato sia diretto a realizzare gli obiettivi della persona con disabilità secondo i suoi desideri, le sue aspettative e le sue scelte”.

  Ebbene in ambedue le leggi è stabilito chiaramente che il progetto di vita è individuale, personalizzato e partecipato”.  Tuttavia nella legge nazionale n. 227 non viene stabilito chi è il titolare del progetto e, dal testo complessivo, sembra di capire che i servizi sociali sono i titolari del progetto.  Viceversa nella Legge regionale n. 25 viene stabilito espressamente che: La persona con disabilità è titolare del progetto di vita”.  Inoltre in questa Legge n. 25 è stabilito che il disabile partecipa al progetto determinandone i contenuti sulla base dei propri bisogni, interessi, richieste, desideri e preferenze”.  Invece la Legge n. 227 stabilisce che il progetto è diretto a realizzare gli obiettivi della persona con disabilità secondo i suoi desideri, le sue aspettative e le sue scelte”.  Dunque nella Legge lombarda il disabile sarebbe un pochino più proprietario della propria vita che non nella legge nazionale.

  Rimanendo sempre nell'articolo 5, ma passando al comma 4, nella Legge della Lombardia qui in esame, c’è scritto: Il progetto di vita individuale, personalizzato e partecipato è predisposto, entro novanta giorni dalla richiesta dell’interessato, dal comune di residenza della persona con disabilità, d’intesa con l’ASST competente, con l’intervento del Centro per la vita indipendente di cui all’articolo 9 e il coinvolgimento degli enti del sistema sociosanitario regionale, dei soggetti pubblici o privati interessati, delle istituzioni scolastiche e degli enti preposti a favorire l’inclusione lavorativa e sociale delle persone con disabilità, al fine di una progettazione integrata degli interventi.”

  In altre parole le persone con gravi disabilità, per non morire in tempi brevi, vengono costrette in ogni caso a chiedere alle autorità locali che venga fatto il proprio progetto di vita”.  Per cui va rilevato che, qualora decidano di fare un progetto di vita, le persone cd. normodotate lo fanno da sé, o con il/la propria partner, o con persone di loro libera scelta e, in ogni caso, la singola persona cd. normodotata rimane titolare del proprio progetto di vita e se lo gestisce con tutta la privacy che vuole.

  Viceversa i disabili vengono costretti ad un progetto dove “partecipato” significa che si accreditano d’ufficio altre persone o agenzie a dare un’impronta alle scelte ... legate alla quotidianità[10].

  E, sempre nel caso delle persone con disabilità questo significa che qualcuno, accreditato da altri, avrà voce in capitolo nella sua vita e potrà decidere come, quando, dove e con chi compiere qualunque tipo d’azione, dall’alzarsi dal letto al ritornarci, dal bere un bicchier d’acqua all’andare in bagno, dall’uscire di casa al rientrarci, dall’ospitare all’essere ospitati, cosa consumare eccetera[11].

  Inoltre, pur essendo formalmente titolare del proprio progetto di vita, in pratica la singola persona disabile si limita a partecipare alla sua predisposizione.  E ancora: tale progetto di vita viene ampiamente scritto, per non dire totalmente scritto, da persone non scelte dal singolo disabile e, molto probabilmente, nemmeno conosciute, oppure conosciute solo di vista, dal singolo disabile.

  Si noti con attenzione, come abbiamo visto sopra, che il disabile è sì titolare del proprio progetto di vita, ma poi questo viene predisposto ... dal comune di residenza della persona con disabilità”.  Insomma il disabile è titolare della propria vita, ma poi è il comune che progetta come deve vivere.  Come minimo mi sembra una grande umiliazione per il disabile.

  Si noti anche che viceversa, in estrema sintesi la Convenzione dell’Onu sui disabili stabilisce che il singolo disabile è sempre il soggetto delle decisioni che lo riguardano.  E, semmai, soltanto in caso di necessità (e non sempre, come in questa Legge della Lombardia), le autorità locali devono sostenerlo, senza sostituirsi in alcun modo ad esso.  Insomma, in questa Legge regionale della Lombardia, in concreto il disabile viene considerato un essere di serie B oppure un cagnolino domestico o simili.

  Nell'articolo 5 comma 5 della Legge regionale qui in esame c’è scritto: Il progetto di vita individuale, personalizzato e partecipato è sottoscritto, ai sensi delle norme vigenti, dalla persona con disabilità o da chi eventualmente la rappresenta ed è comunicato dal comune agli altri soggetti di cui al comma 4.

  Insomma, viene stabilito in maniera inequivocabile che, se vuole i supporti necessari per la vita indipendente, il disabile deve firmare il progetto di vita”.  Ma in base a questa Legge regionale il disabile partecipa in maniera molto discutibile alla stesura di tale progetto.  In sintesi, se si vuol guardare davvero la cruda realtà della vita, in base agli articoli 5 e 6 della Legge regionale qui in esame, viene stabilito che le autorità locali fanno il progetto di vita e il disabile lo deve firmare.

  Infatti, cosa succede se il disabile non firma il progetto perché lo ritiene scritto male?  La Legge n. 25 tace.  Quindi di sicuro il progetto non va avanti.  Ma il disabile non può vivere senza assistenza personale.  Perciò si deve ritenere che, per la vita indipendente, in Lombardia per le autorità o mangi la minestra o salti dalla finestra”.  Ovvero si ritiene che, una volta sentito il disabile, le autorità locali siano infallibili nella stesura del progetto.

  E, qualora si voglia comunque costringere il disabile al progetto di vita, perché non considerare che molti disabili sono perfettamente capaci di fare da sé il proprio progetto di vita”?  E perché omettere completamente i preziosissimi consiglieri alla pari (tanto apprezzati laddove la vita indipendente è consolidata da decenni), invece di delegare tutto a funzionari normodotati che nulla sanno di vita indipendente, per aiutare chi è in difficoltà a stendere il proprio progetto?

  Nell'articolo 6 comma 1 della Legge regionale lombarda n. 25 c’è scritto: o, qualora la persona con disabilità si trovi in condizioni di incapacità legale o naturale, dal suo rappresentante legale o tutore in conformità alle disposizioni previste dall'ordinamento civile, assicurando, per quanto possibile, la partecipazione della stessa alla elaborazione del progetto.”

  Qui c’è un punto che, se davvero attuato, sarebbe di una qualche importanza.  Cioè, anche se è legalmente incapace, il disabile deve partecipare per quanto possibile alla stesura del proprio progetto di vita”.

  Si osserva tuttavia che, in base all’articolo 12 della Convenzione dell’Onu sui disabili, a prescindere dalle proprie incapacità, in ogni caso il disabile non partecipa, ma è titolare, ed è soltanto sostenuto dagli enti preposti, che perciò non si sostituiscono al disabile.

  Nell'articolo 6 comma 4 della Legge regionale n. 25 qui in esame viene scritto: le unità di valutazione multidimensionale ... si dotano degli strumenti necessari per far emergere le esigenze della persona con disabilità, avvalendosi della collaborazione della rete territoriale dei servizi”.

  Qui alle autorità locali viene attribuito il dovere di far venire fuori i bisogni e le aspirazioni dei disabili.  Ovvero il compito di far venire fuori le necessità del disabile viene attribuito proprio a chi poi avrebbe il compito di trovare le risorse per far fronte a tali necessità.  Più che un esempio di trasparenza e obbiettività, mi pare una presa in giro proprio nei confronti delle persone verso le quali tale trasparenza sarebbe più che mai doverosa.

  Inoltre molte persone disabili sono perfettamente capaci di tirare fuori da sé le proprie necessità, e di farlo molto meglio delle autorità locali.  Per cui, attribuire tale compito a dette autorità in maniera astratta e generalizzata significa discriminare i disabili perché vuol dire attribuire a molte di queste persone delle incapacità che non hanno.  E, ad esempio, mi viene da ridere-piangere a pensare che venga attribuito alle autorità il compito di far venire fuori i miei bisogni e desideri.  E, anche qui, viene omesso che i consiglieri alla pari hanno ben maggiori capacità delle autorità locali di far emergere bisogni e desideri dei disabili che non riescono a farlo da sé.

 

7             Il budget del progetto

  Nell'articolo 7 comma 1 della Legge regionale n. 25 qui in esame viene scritto: Il budget di progetto è parte integrante del progetto di cui all'articolo 5 e viene elaborato coinvolgendo e supportando la persona con disabilità”.

  Il cd. budget è fondamentale perché significa le risorse che il disabile può avere in concreto per vivere la propria vita e in particolare per avere sufficiente assistenza personale. In questo comma c’è la parole supportando, però è comunque scritta dopo la parola coinvolgendo”.  E, si noti bene, che la parola supportando (che scaturisce pure dalla Convenzione dell’Onu) viene usata non più sopra per quanto riguarda la stesura del progetto di vita, ma viene utilizzata proprio qui perché c’è da spendere del denaro. Ovvero la Regione Lombardia attribuisce mano sostanzialmente libera alle autorità locali per quanto riguarda la stesura del progetto di vita, ma poi ci si limita al sostegno quando c’è da spendere del denaro.

  Inoltre si osserva che, nell’articolo 11 della Legge qui in esame, per la vita indipendente dei disabili in tutta la Lombardia la Regione ha stanziato soltanto 1 milione di euro all’anno.  Tanto per dare un idea della ridicolezza della somma si osservi che, ad esempio, qui in Toscana, a seguito delle lotte dell’Associazione vita indipendente, la Regione stanzia per la vita indipendente quasi 13 milioni di euro all’anno.  Come mia opinione personale è una cifra che corrisponde a circa 1/4 o un 1/5 della somma necessaria.  Quindi, facendo una comparazione, che tiene conto anche della maggiore popolazione della Lombardia, per rimanere a quel poco che siamo riusciti ad ottenere in Toscana, la Lombardia dovrebbe stanziare almeno 35 milioni di euro all’anno per la vita indipendente, mentre, per assicurare una vita indipendente decente a tutti i disabili gravi della Lombardia, sarebbero necessari almeno 160 o più milioni di euro all’anno, considerando che la Regione ha incluso nella vita indipendente anche i disabili non gravi, esclusi invece in Toscana.  Viceversa la Regione Lombardia ha stanziato solo 1 milione.

  Si dirà che, nella Legge regionale della Lombardia qui in esame è previsto che per finanziare la vita indipendente dei disabili, si debba fare ricorso a ben altre 8 fonti di finanziamento diverse.  Infatti nell'articolo 7 comma 2 della Legge regionale n. 25 qui in esame viene stabilito che, per sostenere la vita indipendente dei disabili gravi, gli enti locali debbano ricorrere almeno a ben 9 fonti di finanziamento diverse.

  In primo luogo si osserva che, a tal fine, vista l’esiguità della somma stanziata, la Regione Lombardia non dà certo il buon esempio agli altri enti che dovrebbero contribuire.

  Inoltre, ai fini della vita indipendente, in realtà si tratta di altre 8, e non 9, fonti di risorse perché alla lettera h) ci si riferisce alle risorse del disabile, dei familiari e del volontariato.  Della incompatibilità di queste tre fonti con la vita indipendente si tratta in altre parti di questo scritto.

  Si è poi accennato che è fondamentale compito della Repubblica semplificare la vita dei disabili.  Inoltre, il disabile grave, ancor più se solo, è soggetto molto vulnerabile, che, per non morire, e per esercitare in concreto almeno i propri diritti fondamentali, ha necessità di sostegni rapidi, semplici, efficaci e garantiti.

  Viceversa dover mettere insieme almeno ben altre 8 fonti di finanziamento diverse è una cosa che complica enormemente la vita dei disabili rispetto a quella di chi è normodotato.  E la complica ulteriormente, e di parecchio, il fatto che non è assolutamente previsto per legge se e quanto gli altri enti debbano contribuire.  Ovvero per nessuna di tali fonti è stabilito alcun obbligo preciso, per cui il disabile non ha alcun diritto da far valere e la sua vita è lasciata in balia a tali entità.

  E ancora, di sicuro ci vorranno tempi lunghissimi per far sì che si riesca a mettere insieme tutte queste fonti di finanziamento per ogni singolo soggetto disabile.  Verosimilmente i disabili gravi, che non hanno altri sostegni molto significativi, sono ampiamente in tempo a morire prima che si riesca in concreto a mettere insieme finanziamenti da ben 8 fonti diverse (ammesso pure che l’ente locale voglia farlo e ne abbia la possibilità/capacità) perché si tratta di un’operazione molto complessa che richiede tempi necessariamente lunghi a fronte di necessità vitali di disabili gravi, alle quali non si può legittimamente rispondere con le favole.

  Si osserva di nuovo che, da un lato il disabile grave è parte debole e dall’altro i finanziamenti per la vita indipendente gli sono indispensabili prima di tutto per le mere esigenze di sopravvivenza e poi per il concreto esercizio di quelle libertà fondamentali che dovrebbero essere inviolabili.  Per cui, stanziare da parte della Regione Lombardia soltanto 1 milione di euro all’anno per la vita indipendente dei disabili gravi e incaricare le autorità locali a ricorrere a ben almeno altre 8 fonti di finanziamento, in concreto è una presa di giro che fa abortire la vita indipendente.  Inoltre, a fronte di necessità vitali di disabili gravi, verso le quali sarebbe doverosa la massima tutela, non c’è alcuna disposizione legislativa che impedisca l’improvvisa interruzione, o drastica riduzione, di ciascuna di tali fonti di finanziamento, lacuna legislativa questa sicuramente voluta da Ponzio Pilato.  E si tratta di una precarietà di vita tale da costringere alla pazzia i disabili gravi e che, personalmente, non riserverei nemmeno agli animali non umani.

  Nell'articolo 7 comma 2 lettera a) della Legge regionale n. 25 qui in esame viene scritto che nel budget confluiscono anche le risorse per gli interventi domiciliari di natura sanitaria, sociale ed educativa”.

  Questa disposizione sarebbe importante, purché non implichi che la vita indipendente si deve svolgere esclusivamente o quasi a domicilio.  Però è lasciato tutto in termini generali, quindi per il disabile rimane tutto nell’incertezza, ben lontano dal diritto alla vita indipendente.

  Nell'articolo 7 comma 2 lettera h) della Legge regionale qui in esame viene scritto: i trasferimenti monetari di tipo assistenziale, previdenziale e le risorse personali, così come quelle liberamente messe a disposizione dai familiari, anche in termini di lavoro volontario, o quelle attivabili dalla comunità sociale di appartenenza”.

  Innanzitutto quel liberamente è un eufemismo perché, se le risorse pubbliche per la vita indipendente sono ampiamente insufficienti, è chiaro che i familiari non disabili si sentiranno in dovere di fare tutto il possibile per intervenire per sostenere la vita indipendente del familiare disabile.

  Inoltre il distacco del figlio dai genitori è un esigenza (e quindi una legge) di tutto il mondo animale. Si tratta di un’esigenza primordiale che dovrebbe essere particolarmente sostenuta per quanto riguarda il disabile grave perché ci sono molti motivi per cui per queste persone è più difficile staccarsi dalla famiglia.  Invece si vuole costringerlo a continuare a dipendere dalla famiglia di origine, alla quale oltretutto non si vuole nemmeno dare un po’ di respiro.

 

8             Il volontariato

  In questa Legge della Lombardia è prevista la possibilità del sostegno da parte del volontariato.

  In base a quanto è dato di sapere, il volontariato è incompatibile con la vita indipendente almeno per 3 motivi:

1.   è essenziale che, a maggior ragione se è in situazione di gravità, per quanto riguarda la vita indipendente, e in particolar modo per l’assistenza personale, il disabile abbia un diritto giuridicamente esistente e concretamente azionabile. Viceversa nei confronti del volontariato, in particolar modo sotto quest’ultimo profilo dell’azionabilità concreta, tale diritto è inesistente. Ed è dato di sapere della prassi diffusa da parte dei volontari di dire anche all’ultimo momento che non possono effettuare il servizio programmato.

2.   Di solito, per motivi comprensibilissimi, i volontari effettuano il proprio servizio soltanto per poche ore alla settimana o al mese. Questo non può funzionare in particolar modo per l’assistenza personale per i disabili gravi perché queste persone hanno necessità di molte ore di assistenza personale alla settimana, per cui, se un volontario lo fa solo per qualche ora alla settimana o al mese, di fatto per il disabile ci sarebbe un ricambio di assistenti che rende materialmente impossibile la gestione personalizzata della vita del disabile e lo porterebbe alla pazzia.

3.   Purtroppo, pur non essendo un comportamento totalmente diffuso, tuttavia non poche persone svolgono il volontariato per sentirsi importanti a fronte di insicurezze o paure personali. Viceversa, per aiutare veramente un disabile grave ad essere se stesso, è necessaria l’umiltà, l’intelligenza e la capacità di porsi per davvero al sevizio dell’altro, ovvero si può aiutare veramente un disabile grave ad essere se stesso soltanto se si parte dal presupposto del so di non sapere i bisogni, i desideri, le preferenze dell’altro.  In altre parole, da parte d chi effettua un servizio personale è abbastanza diffuso l’atteggiamento per cui, se il disabile è il datore di lavoro che retribuisce, allora è più probabile che l’assistente personale agisca fin nei dettagli come dice il disabile. Viceversa, se l’assistente è un volontario, quindi non retribuito, è più probabile che faccia come vuole lui.

 

9             Uscire dagli istituti

  Nell'articolo 7 comma 2 lettera i) della Legge qui in esame c’è scritto: le risorse impegnate dalla Regione e dai comuni per le tariffe delle unità di offerta residenziale sociosanitarie o socio-assistenziali, che possono confluire nel budget di progetto qualora si preveda un percorso di uscita dai servizi residenziali e tenuto conto della valutazione multidimensionale, nonché del progetto di vita individuale, personalizzato e partecipato”.

  Il principio stabilito in questa disposizione è concretamente importante ai fini della vita indipendente.  Tuttavia, espresso in termini cosi generali e senza alcuna disposizione precisa direttamente applicabile, sembra un principio difficile da applicare e concretamente poco utile per persone con gravi disabilità estremamente vulnerabili.

  Nell’articolo 10 comma 1 lettera c), del testo del progetto di Legge approvato dalla III Commissione consiliare della Regione Lombardia, era prevista la riconversione delle risorse, comprese quelle di carattere sanitario, in favore di percorsi inclusivi”.

  Ebbene, nel testo definitivo della Legge regionale qui analizzata, le parole , comprese quelle di carattere sanitario, non ci sono più.

  Siccome di regola, nei bilanci regionali, i fondi sanitari sono quelli con risorse molto maggiori degli altri, il fatto che il Consiglio regionale abbia tolto da questa Legge le parole appena riportate qui sopra, vuol dire ridurre ulteriormente, e in maniera rilevante, i fondi da cui può essere possibile attingere per la vita indipendente.

 

10       Gli assistenti personali

  Nell’articolo 8 della Legge qui in esame, fine già dal titolo, è previsto un solo assistente personale, al singolare, per ciascun disabile.

  In primo luogo, si fa notare che, in un atto che è giuridicamente vincolante anche per l’Italia, il Comitato dell’Onu per i diritti dei disabili usa sempre le parole assistenti personali al plurale[12], e quindi non c’è nessun riferimento all’eventualità che il disabile abbia un solo assistente personale.

  In concreto, anche la semplice diligenza del buon padre di famiglia sarebbe sufficiente per rendersi conto che un disabile grave non può a vivere come le persone cd. normodotate con un solo assistente personale.  Tanto più poi se il disabile vive da solo.  Soprattutto in lingua inglese ci sono molti testi che trattano di assistenti personali al plurale.

  Volendo entrare in estrema sintesi nel merito della questione, si può dire che un disabile grave può avere necessità di assistenza personale nell’arco di almeno 16 ore al giorno per 365 giorni all’anno.  Nessun lavoratore può far fronte da solo a tutto questo senza che vengano violati gravemente i suoi diritti fondamentali.  Oltre al fatto delle ferie, delle malattie, dei giorni liberi, di un arco di ore libere sufficientemente continuativo durante ogni giornata, c’è anche un’altra questione.  Fare assistenza personale per consentire davvero la vita indipendente a chi ha gravi disabilità vuol dire dedicare tutto il proprio lavoro ad agire, anche nei dettagli, secondo le necessità e le preferenze del disabile.  Nessun lavoratore può fare una cosa del genere per molte ore al giorno.  Per cui, stabilire un solo assistente personale per ogni disabile, in pratica vuol dire o schiavizzare l’assistente personale e probabilmente farlo impazzire, o costringere il disabile a una vita molto limitata rispetto alle altre persone.

 

11       I diritti fondamentali alla Giunta regionale

  Nell’articolo 8 comma 3 di questa Legge viene poi demandato alla Giunta regionale il compito di stabilire quanto rimborsare per l’assistenza personale.

  Il fatto è che dall’ammontare di tale rimborso dipende la concreta possibilità per il singolo disabile di esercitare i propri diritti fondamentali che sarebbero inviolabili.  È perciò certo inammissibile che venga assegnata alla Giunta regionale, quindi a un organo esecutivo, la possibilità di limitare in maniera così rilevante la concreta possibilità di esercitare le libertà fondamentali, e prima ancora che le venga assegnata la possibilità di limitare la concreta facoltà di far fronte in concreto a esigenze primordiali della vita, quali andare in bagno, bere un bicchiere d’acqua, ecc..

  Sempre nello stesso comma della stessa Legge viene stabilito che è compito della Giunta regionale stabilire i requisiti e le competenze dell’assistente personale”.

  Il fatto è che un punto assolutamente essenziale per la vita indipendente di chi ha davvero gravi disabilità è scegliere liberamente i propri assistenti personali, decidere cosa devono fare e istruirli in proposito perché si tratta di questioni strettamente collegate con le esigenze fondamentali del singolo disabile.  E assegnare un compito del genere alla Giunta regionale significa imprigionare i disabili.

 

12       I Centri per la vita indipendente

  Nell’articolo 9 della stessa Legge n. 25 viene stabilito che i Centri per la vita indipendente sono servizi dei comuni e funzionano secondo le regole stabilite dalla Giunta regionale.

  Il fatto è che i Centri per la vita indipendente sono nati e si sono sviluppati proprio come servizi autogestiti da persone con gravi disabilita che vivono in maniera indipendente, perché sono proprio loro le persone esperte in questa materia.  Viceversa, dopo il Consiglio dei ministri, la Giunta regionale è l’organo collegiale esecutivo più distante dalla popolazione.  Perciò, demandare a questa Giunta il compito di stabilire come e quanto devono funzionare questi Centri, vuol dire trasformarli in entità che non hanno nulla a che fare con la vita indipendente.

  Inoltre, viene stabilito che le regole di finanziamento di tali Centri devono essere stabilite coinvolgendo le associazioni maggiormente rappresentative delle persone con disabilità.”

  Per organizzare e far funzionare questi Centri, ci vuole una grande competenza in tema di vita indipendente e questa competenza di sicuro non viene necessariamente dall’essere maggioranza.  Sarebbe come dire che il modo in cui deve essere fatto un intervento al cuore va stabilito non dai cardiochirurghi, ma dalla maggioranza dei medici, a prescindere dalle loro conoscenze specialistiche.

  E ancora, in tema di Centri per la vita indipendente non sono in alcun modo previsti i consiglieri alla pari, che invece sono assolutamente essenziali per la vita indipendente e sono l’architrave fondamentale dei Centri per la vita indipendente”.

  Quindi, cosi come sono concepiti in questa Legge regionale, in realtà questi Centri sono la fine della vita indipendente.

 

13       I nuovi istituti

  Nell'articolo 10 comma 1 lettera c) della Legge qui in esame è stabilito: la formazione di ambienti di vita assimilabili a quelli familiari”.

  Questo è innanzitutto in contrasto con l’articolo 19 della Convenzione dell’Onu sui disabili perché in tale articolo viene stabilito che vita indipendente vuol dire vivere su base di uguaglianza con gli altri, mentre assimilabili è riduttivo rispetto a eguaglianza”.

  E poi assimilabili a parere di chi?  Dei componenti della Giunta regionale che nulla sanno di vita indipendente?

  Inoltre lo stesso articolo stabilisce che le persone disabili non siano obbligate a vivere in una particolare sistemazione, mentre è evidente che di fatto c’è tale obbligo per i disabili se non viene adeguatamente potenziata l’assistenza personale per la vita indipendente, e, nella Legge della Lombardia qui esaminata, mancano i presupposi per tale potenziamento.

  Per quanto riguarda assimilabili va pure messo in evidenza che la Regione Lombardia è vincolata ad osservare il Commento generale n.5 dell’Onu sulla vita indipendente[13].

  E tale Commento al punto 16 lettera c) fra l’altro stabilisce che Sia la vita indipendente che l'inclusione nella comunità si riferiscono a contesti di vita al di fuori delle istituzioni residenziali di ogni tipo. Non si tratta "solo" di vivere in un particolare edificio o ambiente; si tratta, prima di tutto, di non perdere la scelta personale e l'autonomia a causa dell'imposizione di determinate condizioni di vita. Né le istituzioni su larga scala con più di un centinaio di residenti né le case di gruppo più piccole con da cinque a otto persone, e nemmeno le case individuali possono essere chiamate sistemazioni di vita indipendente se hanno altri elementi tipici degli istituti o dell'istituzionalizzazione. Sebbene le strutture istituzionalizzate possano differire per dimensioni, nome e configurazione, vi sono alcuni elementi determinanti, come la condivisione obbligatoria degli assistenti con altri e o poco o nessun potere da parte di chi deve accettare l'assistenza[14].

 

14       Conclusioni

  In questa Legge regionale della Lombardia n. 25 del 2022 c’è qualche disposizione astratta di carattere generale teoricamente importante.

  Di sicuro, rispetto a quel poco che siamo riusciti a conquistare qui in Toscana con 30 anni di dure lotte, questa Legge della Lombardia rappresenta uno spaventoso balzo all’indietro e mi auguro che non ci troveremo costretti a consumare il nostro sangue per lottare anche contro i tentativi di copiare questa Legge regionale pure qui in Toscana.  E speriamo che un testo analogo non venga approvato da altre regioni, altrimenti sarà la fine.

  Non conosco in dettaglio la realtà concreta della vita quotidiana dei disabili in Lombardia, per cui non so se, rispetto a tale realtà, questa Legge della Lombardia sia comunque un passo in avanti, e/o sia comunque un meglio che niente”.

  Gesù Cristo era sicuramente un Grande, probabilmente il primo socialista della Storia, come – tra molti altri – disse Margherita Hack.  Ma sulla sua croce è stata costruita la potenza della Chiesa cattolica, che pochissimo o nulla ha a che fare con lui.

  Marx ha scritto delle cose fondamentali sul capitalismo.  Ma con il suo nome sono state costruite cose che pochissimo o nulla hanno a che fare con quello che ha scritto lui.

  Teresa Selli Serra diceva giustamente che la vita indipendente è una rivoluzione copernicana nel campo della disabilità.  A Berlino nel 1992, in un incontro europeo sulla vita indipendente, parlammo dei tentativi che c’erano già allora di far passare per vita indipendente cose che nulla hanno a che fare con la vita indipendente.  E in Toscana ci sono già state delle bestemmie in tal senso.

  Dall’analisi fatta qui sopra mi sembra evidente che la Legge regionale n. 25 è un chiaro tentativo della Regione Lombardia di accaparrarsi la vita indipendente per distruggerla.

  Nel leggere le bozze del mio ultimo libro (finanziato da Enil Italia) Beniamino Deidda fu così grande da suggerirmi come titolo Vivere Eguali”.  Ebbene sì, la vita indipendente è un ricchissimo patrimonio (di consapevolezza, esperienze, conoscenze, strumenti, potere) accumulato dai disabili per poter vivere in maniera eguale a chi appare normodotato.  Viceversa la Legge regionale lombarda esaminata in questo scritto stabilisce le regole e gli strumenti per far sì che noi disabili gravi continuiamo a vivere in maniera diseguale, e quindi discriminati ed emarginati, morendo quindi ben prima dell’inevitabile.

  Se la Costituzione italiana è molto buona, sicuramente lo si deve al fatto che è figlia dell’antifascismo e della Resistenza.  Poco prima di morire Stefano Rodotà fece notare che le più importanti leggi sui cd. diritti civili di questo dopoguerra sono state approvate negli anni immediatamente successivi al ‘68.

  Insomma, se vogliamo che si affermi la vita indipendente, l’unica via che abbiamo di fronte è quella dura, faticosissima, crudele della lotta guardando in faccia soltanto la dignità.  Augurandoci la solidarietà attiva di tutte le persone intelligenti.  Con la consapevolezza che, ad esempio, il denaro, stanziato in un anno e prontamente da un Parlamento quasi unanime per le armi all’Ucraina, sarebbe stato sufficiente ad assicurare una vita indipendente piena, vera, viva ed eguale agli altri, a tutti i disabili gravi italiani.



[3]    La più recente: Allegato B della Deliberazione della Giunta regionale toscana n. 117 del 7/2/2022.

[4]    La legge n. 227 citata qui sopra, all’articolo 2 comma 2 lettera c) punto 12), prevede espressamente la vita indipendente soltanto per le "persone con disabilità in età adulta".

[5]    L’Allegato B della Deliberazione della Giunta regionale toscana n. 117 citato qui sopra esclude espressamente i minorenni dalla vita indipendente e non è affatto chiara per gli ultra 65enni.

[6]    VIVEREEGUALI Disabili e compartecipazione al costo delle prestazioni, Milano, Franco Angeli Editore, 2014, pp. 299 + pp. 48 di tabelle on line.

[7]    ENIL Lombardia, progetto Partecipato, in https://www.enillombardia.it/progetto-partecipato/

[8]    ENIL Lombardia, Cosa c’è di vita indipendente nella Legge regionale 8 dicembre 2022. N. 25?", in https://www.enillombardia.it/cosa-ce-di-vita-indipendente-nella-legge-regionale-8-dicembre-2022-n-25/

[9]    In questo senso non sono pertanto condivisibili le parole secondo cui, per quanto riguarda il progetto di vita, chi vuole se ne avvale e chi ritiene di non averne bisogno può farne legittimamente a meno”: Salvatore Nocera, Perché non condivido quelle critiche alla Legge Lombarda sulla vita indipendente, in https://www.superando.it/2023/01/19/perche-non-condivido-quelle-critiche-alla-legge-lombarda-sulla-vita-indipendente/

[10]   ENIL Lombardia, Cosa c’è di vita indipendente nella Legge regionale 8 dicembre 2022. N. 25?", in https://www.enillombardia.it/cosa-ce-di-vita-indipendente-nella-legge-regionale-8-dicembre-2022-n-25/

[11]   ENIL Lombardia, Politiche di welfare sociale per il riconoscimento del diritto alla vita indipendente e all’inclusione sociale di tutte le persone con disabilità, in https://www.enillombardia.it/politiche-di-welfare-sociale-per-il-riconoscimento-del-diritto-alla-vita-indipendente-e-allinclusione-sociale-di-tutte-le-persone-con-disabilita/

[13]   UNCRPD, General comment No. 5 citato più sopra.

[14]   Libera traduzione in italiano da parte di chi scrive. Il testo ufficiale in lingua inglese: Both independent living and being included in the community refer to life settings outside residential institutions of all kinds. It is not just about living in a particular building or setting; it is, first and foremost, about not losing personal choice and autonomy as a result of the imposition of certain life and living arrangements. Neither large-scale institutions with more than a hundred residents nor smaller group homes with five to eight individuals, nor even individual homes can be called independent living arrangements if they have other defining elements of institutions or institutionalization. Although institutionalized settings can differ in size, name and set-up, there are certain defining elements, such as obligatory sharing of assistants with others and no or limited influence over whom one has to accept assistance from”.