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Presentazione

Manifestazione 'liberi di fare'

Manifestazione 'liberi di fare' in piazza della Repubblica a Firenze il 3 novembre 2017

Manifestazione 'liberi di fare' in piazza della Repubblica a Firenze il 3 novembre 2017


Manifestazione 'liberi di fare'

Manifestazione 'liberi di fare' in piazza della Repubblica a Firenze il 3 novembre 2017

Manifestazione 'liberi di fare' in piazza della Repubblica a Firenze il 3 novembre 2017


Manifestazione 'liberi di fare'

Manifestazione 'liberi di fare' in piazza della Repubblica a Firenze il 3 novembre 2017

Manifestazione 'liberi di fare' in piazza della Repubblica a Firenze il 3 novembre 2017


  Come accade, ogni 2 anni, da 20 anni anche quest’anno alla fine di settembre c’è stata a Bruxelles la “Freedom Drive” per la vita indipendente.

  Si sono ritrovate a Bruxelles circa 200 persone disabili con i loro assistenti personali per parlare insieme di cosa va fatto per diffondere la vita indipendente dei disabili in Europa.  C’era anche il collegamento online per seguire i vari convegni, ma soltanto pochissime persone erano collegate online, mentre quasi tutte erano lì di persona.  È molto significativo del bisogno di lottare per la vita indipendente che c’è in Europa ed è molto indicativo della voglia di tante persone con gravi disabilità di vivere la vita.

  Si riporta qui sotto la sintesi di alcuni argomenti che sono stati affrontati in due giorno di dibattiti.

  Si fa anche notare che la manifestazione di circa 200 persone con grave disabilità per le strade di Bruxelles è avvenuta sotto un diluvio di pioggia.  Si osserva anche che nel convegno dell’ultimo giorno, sebbene la loro presenza non fosse prevista, in realtà al tavolo dei relatori c’erano anche Helena Dalli, “Commissaria dell’Unione Europea per l’eguaglianza”, e la Commissaria dell’Unione Europea per i trasporti.  Si può anche pensare che la manifestazione di 200 disabili gravi sotto un diluvio di pioggia possa aver smosso qualcosa.

  Durante gli incontri collegati con la “Freedom Drive” è stato ribadito da più persone che a noi disabili gravi tocca combattere duramente per qualsiasi esigenza anche primaria della vita, tocca combattere ad esempio anche per poter bere anche un bicchiere d’acqua (nel senso che tocca combattere anche per avere assistenza personale, ad esempio, per farsi aiutare a bere un bicchiere d’acqua quando si ha sete), per andare a fare la pipì, ecc..

  In poche parole si può dire, per chi è costretto a vivere con gravi disabilità, vita indipendente significa che tutto quanto è necessario per non morire deve essere organizzato in modo che ogni singola persona possa vivere liberamente.  Alessandro Santoro, durante le sue omelie, senza fare riferimento specifico ai disabili, sintetizza bene il concetto, anche di vita indipendente, con le parole “vivi vero”.  Cioè a dire che, se nella vita non si riesce ad essere se stessi, si perde la vita.  E in effetti, anche per chi ha gravi disabilità, se non c’è la possibilità concreta di essere noi stessi, non è molto diverso dal morire, e di sicuro si perde la vita.  Oltre al fatto che, se non si riesce ad essere noi stessi, anche da un punto di vista fisico si muore molto prima del inevitabile.

  A questo fine è decisivo osservare che, senza barriere architettoniche, con adeguati ausili tecnici e soprattutto con adeguata assistenza personale, anche con gravi disabilità si può essere pienamente noi stessi.

  Da un punto di vista giuridico non c’è dubbio che in Italia e in Toscana, almeno in astratto, la vita indipendente è un diritto, se non altro perché è tutelata dai primi 3 articoli della Costituzione, dalla Convenzione Onu sui disabili, dalla legge nazionale n. 227 del 2021, dall’articolo 4 dello Statuto della Regione Toscana e da un paio di articoli in 2 leggi regionali della Toscana.

  Nei convegni di Bruxelles la “Commissaria europea per l’eguaglianza” ha detto che la vita indipendente dei disabili è un diritto ed è inclusa nei principi fondanti dell’Unione Europea.

  Tanto per sottolineare quanto è importante la vita indipendente per i disabili gravi e quanto è determinante un’adeguata assistenza personale, mi ha colpito molto che in uno di questi convegni internazionali di Bruxelles un uomo francese con autismo, nel silenzio totale della sala e con adeguato aiuto della propria assistente personale, è riuscito a produrre un proprio intervento preregistrato, di un rilevante contenuto filosofo e politico.  Mi ha colpito così tanto che secondo me questo intervento da solo vale i 3 giorni di iniziative a Bruxelles.

  Si è accennata sopra l’importanza dell’assistenza personale.  In poche parole, assistenza personale vuol dire che le persone che aiutano il singolo disabile devono farlo in ogni momento secondo le esigenze e i desideri della singola persona disabile (e non come vorrebbe chi fa l’assistente).  Inoltre, l’assistenza personale ci deve essere per tutto il tempo necessario a consentire al singolo disabile di soddisfare tutte le proprie esigenze vitali e di poter realizzare pienamente, e quindi liberamente, la propria personalità, come stabilito anche dagli articoli 2 e 3 della Costituzione italiana.

  A differenza di altri incontri sulla vita indipendente, nei quali si affermava che l’assistenza personale (insieme a assenza di barriere, ausili tecnici e altro) è uno strumento fondamentale per la vita indipendente, in questi incontri di Bruxelles, secondo me giustamente, si è detto da più persone disabili che l’assistenza personale è il punto chiave per la vita indipendente.

  Mi pare interessante osservare che per la “Commissaria europea per l’eguaglianza” la mancanza, o l’insufficienza, di assistenza personale fa dipendere i disabili dalla famiglia o li costringe a finire in istituto.  Se le parole producessero conseguenze concrete, sarebbe di una certa importanza che una “Commissaria europea” abbia detto cose del genere.

  È stato poi detto da più parti che la disabilità deve essere considerata per quello che è, cioè come un fatto naturale della vita, che può capitare a tutti.  Judy Heumann dagli Stati Uniti ha sottolineato che è necessario “normalizzare” la disabilità.  Di conseguenza, sempre da più parti, è stato sottolineato che l’assistenza personale non va più considerata come una specifica necessità per i disabili, bensì deve essere un servizio (ovviamente organizzato in maniera adeguata) normalmente disponibile nella società per chiunque ne abbia necessità.  Pure da parte della “Commissaria europea per l’eguaglianza” è stato detto che l’assistenza personale deve diventare un servizio normalmente disponibile per tutta la collettività.  Queste affermazioni sono un fatto nuovo che indica da un lato una accresciuta consapevolezza e importanza del movimento per la vita indipendente a livello internazionale e dall’altro che, almeno nelle parole, un pochino riusciamo ad incidere nelle istituzioni.

  Da parte di vari relatori (disabili) sono state sottolineate le difficoltà, un po' dappertutto, a trovare assistenti personali ed è stato menzionato il fatto che spesso questo lavoro viene fatto da persone straniere.  Si tratta di una questione di enorme importanza perché da un lato senza assistenti personali non c’è vita indipendente e dall’altro per via del fatto che le grandi difficoltà nel trovarli rendono la vita davvero difficile e umiliante.

  Nell’ascoltare i vari relatori, che sottolineavano l’importanza dell’assistenza personale, e nel riflettere su quanto questa è importante per me e per altre persone che conosco direttamente, mi sono reso conto che, per chi è veramente disabile grave, l’assistenza personale è più importante dell’acqua per bere e del cibo per mangiare.

  Innanzitutto perché è certamente inammissibile stare una sera senza bere acqua e/o senza cibo, però, in fin dei conti, se si sta una sera senza bere oppure anche 24 ore senza mangiare (escluse le persone che hanno determinate patologie) si soffre sicuramente molto meno di quanto soffre un disabile grave a stare una sera o 24 ore senza assistenza personale.  Per esempio per un disabile grave stare una sera senza assistenza personale può voler dire stare tutta la notte seduto in carrozzina e dover stare anche 12 ore senza andare in bagno.  Peggio ancora può essere per un disabile grave rimanere 24 ore senza assistenza personale perché, “oltre!” a non bere e a non mangiare, ad esempio vuol dire non poter fare cateterismo, dover rimanere nei propri escrementi, non potersi spostare neanche di 1 millimetro dalla posizione iniziale, non poter fare niente se ti fa male una parte del corpo, ecc..  Tutto questo è certamente molto più duro di quello che soffre una persona normodotata stando 24 ore “soltanto!” senza mangiare e senza bere.

  Insomma, se si vuol guardare davvero la realtà in faccia, dover rimanere ad esempio 12 o 24 ore senza assistenza personale in concreto per alcuni disabili gravi può risolversi in una vera e propria tortura.  Certo, rispetto all’articolo 613 bis del Codice Penale, nel caso del disabile che rimane senza assistenza personale, molto spesso può mancare l’agire attivo e crudele da parte di chi fa mancare il denaro per la necessaria assistenza personale.  In altre parole, quando una persona viene torturata, nel senso comunemente inteso, ci vuole qualcuno che attivamente fa la tortura.  Viceversa, nel caso citato qui sopra, per torturare in concreto un disabile grave può essere sufficiente che la Regione non stanzi il denaro sufficiente per la necessaria assistenza personale.  Da un punto di vista strettamente giuridico questa è una differenza sostanziale.  Ma, in pratica, per quei disabili tale omissione (non stanziare denaro sufficiente) della Regione si risolve in una tortura.

  Anche perché l’Enciclopedia Treccani non ha certo un valore normativo, però essa stabilisce che crudeltà sono anche “comportamenti che deprimono, mortificano, esasperano psichicamente chi ne è l’oggetto”.  E, secondo me, chi non stanzia risorse sufficienti per l’assistenza personale di chi ha gravi disabilità tiene un “comportamento che deprime, mortifica esaspera psichicamente” il disabile stesso.

  Chi ha davvero necessità di tanta assistenza personale, sa benissimo che la mancanza (o l’inadeguatezza) di tale assistenza umilia profondamente chi ha tale necessità.  Secondo me si può anche dire che le umiliazioni molto profonde distruggono, moralmente e fisicamente, l’esistenza di una persona.  Mi viene da pensare a Stefano, che ha fatto il “suicidio” assistito nel Veneto, e che, prima di morire, ha scritto parole molto pesanti sulla mancanza di assistenza personale.

  Di sicuro, per molti motivi, non fornire adeguata assistenza personale a chi ha gravi disabilità non costituisce in alcun modo l’istigazione al suicidio di cui all’articolo 580 del Codice Penale.  Però, fermo restando in maniera inequivocabile che a me la vita vera piace molto, come riflessione personalissima, mi viene da pensare se, quando si viene umiliati in maniera così profonda, anziché trovarsi costretti di fatto a morire di una lunga agonia nel chiuso e nel silenzio di un’abitazione o di una rsa, non sia più dignitoso riuscire ad avere la forza di lasciarsi morire di sete e di fame in luogo pubblico, se non altro perché è fondamentale che si sappia come si viene costretti a “vivere”, e, se non altro, come ultimo modo per urlare contro le ingiustizie e le crudeltà dell’animale-umano.

  Tornando a provare a costruire qualcosa.

  A Ginevra l’Onu ha costituito il “Comitato per i Diritti delle Persone con Disabilità” (l’acronimo in lingua inglese è: UNCRPD).  Compito di questo Comitato è spiegare in dettaglio il significato di ciascun articolo delle Convenzione sui disabili.  Queste spiegazioni vengono date innanzitutto con i “Commenti Generali” (UNCRPD General Comments) e poi pure con le Risposte individuali alle persone che si rivolgono a tale Comitato.  Sia questi Commenti che le Risposte individuali sono vincolanti per gli Stati che, oltre alla Convenzione, hanno firmato anche il “Protocollo Opzionale”.  Poiché l’Italia ha firmato anche tale Protocollo, sia detti Commenti che dette Risposte sono vincolanti per la Repubblica italiana, quindi anche le Regioni e i Comuni hanno l’obbligo di adeguarsi a quanto viene stabilito da tale Comitato.  E, di conseguenza, se non si adeguano, è possibile rivolgersi al tribunale per costringerli a rispettarle.

  Durante i convegni che ci sono stati a Bruxelles a fine settembre, è stata sottolineata l’importanza di leggere con attenzione tali Commenti e pretendere che vengano rispettati dai singoli Stati.  Inoltre, è stato sottolineato il fatto che ogni persona può scrivere direttamente a tale Comitato quando non viene rispettato quello che è stabilito nella Convenzione dell’Onu sui disabili.  Per rivolgersi a tale Comitato è necessario seguire la procedura indicata nel sito internet del Comitato stesso (https://www.ohchr.org/en/treaty-bodies/crpd/individual-communications), in teoria non è necessario un avvocato, in pratica può essere conveniente far scrivere da un avvocato.  È stato detto che per avere una risposta in media è necessario un anno e mezzo, quindi a volte ci vuole anche qualche anno.

  In Italia, e in particolare in Toscana, non c’è dubbio che in astratto la vita indipendente è un diritto, ma poi non c’è nessuna norma di legge che stabilisce di preciso quanto deve essere dato per l’assistenza personale.  Quindi, ogni Comune e ogni Regione può dare quanto vuole.  Dunque, in concreto, il diritto alla vita indipendente non esiste.

  In realtà il“General comment” n. 5 del 2017 dell’UNCRPD alpunto 16, fra l’altro stabilisce che (traduzione mia): “vita indipendente ... significa ... [avere] ... tutti i mezzi necessari per ... prendere tutte le decisioni riguardanti la propria vita ... compreso l'accesso ai trasporti, all'informazione, alla comunicazione e all'assistenza personale, al luogo di residenza, alla routine quotidiana, alle abitudini, al lavoro dignitoso, ai rapporti personali, all'abbigliamento, all'alimentazione, all'igiene e alla salute, alle attività religiose, alle attività culturali e ai diritti sessuali e riproduttivi ... [e compreso decidere] ... dove viviamo e con chi, cosa mangiamo, se ci piace dormire o andare a letto la sera tardi, stare dentro o fuori casa, avere una tovaglia e candele accese al tavolo, avere animali domestici o ascoltare musica. ... Inoltre non va interpretata unicamente come capacità di svolgere le attività quotidiane”.

  Dunque, tutte le volte in cui il finanziamento per l’assistenza personale per la vita indipendente non viene dato per niente, oppure è insufficiente (e, se non manca del tutto, quasi sempre è insufficiente), per svolgere in maniera adeguata anche una sola di queste attività (e si tratta di un quadro di attività di non poco conto), dovrebbe essere possibile rivolgersi al giudice ordinario e chiedere che venga ordinato al Comune di fornire i fondi sufficienti.  È da verificare se la causa contro la discriminazione possa essere una via che apre alcune porte.

  Ai convegni di Bruxelles, vari relatori hanno sottolineato che in molti Paesi la vita indipendente viene negata a chi ha più di 65 anni.  In alcuni Paesi i finanziamenti per l’assistenza personale per la vita indipendente vengono proprio tolti al compimento dei 65 anni.  In altri Paesi chi ottiene il finanziamento prima del 65o anno d’età continua ad avere l’assistenza personale finché non muore, mentre chi diventa disabile dopo il 65o anno d’età non ottiene il finanziamento per l’assistenza personale per la vita indipendente.  Anche la “Commissaria dell’Unione Europea per l’eguaglianza” ha ammesso che ci sono queste differenze.  Sono fatti assolutamente inammissibili.  Innanzitutto perché non si può discriminare le persone in base all’età.  In secondo luogo perché, quando si finisce di lavorare e si va in pensione, è alto rischio di chiudersi in casa, e quindi di morire presto.  Questo vuol dire che dopo il 65o anno d’età, casomai, sono necessarie più ore di assistenza personale di quando si lavora, e non meno ore.

  Anche qui in Toscana, e pure nell’articolo 2 della recente legge regionale n. 25 / 2022 della Lombardia, è stabilito che la vita indipendente non spetta a chi diventa disabile per via dei processi degenerativi dovuti alla vecchiaia.  A Bruxelles è stato sottolineato che questo è inammissibile.  Oltre ad ulteriori questioni di eguaglianza, il fatto è pure che la vita indipendente, ovvero rimanere in attività per quanto possibile, è l’unico rimedio veramente essenziale per attenuare i processi degenerativi dovuti all’età.