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  Per quanto riguarda l’allegato alla delibera n. 814 del 2020 della Giunta Regionale della Toscana, riguardante le Linee guida per la vita indipendente dei disabili, riepiloghiamo i seguenti punti inaccettabili già esposti verbalmente all’Assessore Saccardi e al dottor Ledo Gori.

 

  È evidente che, ai fini della vita indipendente, il “case manager” non può che essere il disabile stesso, altrimenti non può esserci la vita indipendente.  Questa precisazione è assente nella delibera.

 

  Aprire il bando per la vita indipendente il 15 settembre di ogni anno con la risposta a fine novembre è incompatibile con l’utilizzo da parte dei disabili per frequentare l’università.  Infatti, un disabile si iscrive all’università; e poi, se a fine novembre non gli viene concesso il finanziamento per la vita indipendente, che fa?  Si cancella dall’università?  E che fa nella vita? È un mago e trova in un giorno una soluzione alternativa a problemi così drammatici e enormi?

 

  Fra i requisiti di accesso al finanziamento è stabilito che la condizione di disabilità non dev’essere determinata dal naturale invecchiamento o da patologie connesse alla senilità.  Però, la Convenzione dell’ONU sui disabili, vincolante in Italia, non stabilisce alcuna differenza per la vita indipendente per gli anziani.  E lo Statuto della Regione Toscana mette sullo stesso piano la vita indipendente per i disabili adulti e per gli anziani.

 

  Fra gli obiettivi prioritari mancano:

-  tempo libero

-  vacanze

-  accompagnamento alla riabilitazione. Nell’accompagnare un disabile alla riabilitazione, fra l’altro ci può esser necessità di aiutarlo a spogliarsi e a rivestirsi, e quindi ci vuole l’assistente personale.

  È grave che si indichino tassativamente come prioritari alcuni obiettivi senza indicarvi il tempo libero e le vacanze.  L’assenza di tali obiettivi può portare a un isolamento autodistruttivo e quindi letale.  Così come è grave che non si indichi fra gli obiettivi l’accompagnamento alla riabilitazione.  Già sotto questi primi profili è insomma evidente che non ci sono titoli da parte della Giunta Regionale della Toscana per indicare gli obiettivi prioritari, senza limitarsi a farlo in maniera assolutamente indicativa.

  Ad esempio, considerare la realtà concreta della vita dei disabili e non tener conto del tempo libero e delle vacanze come obiettivi prioritari significa condannare i disabili al lockdown permanente e quindi, fra l’altro, anche ad una morte precoce.

 

  Inoltre, tutti quelli elencati devono essere indicati come “fra gli obiettivi prioritari”, e non come gli unici obiettivi prioritari.  Ovvero deve essere lasciata al disabile la facoltà di indicare quelli che secondo lui sono i propri obiettivi prioritari che devono essere accettati come tali, a meno che non vengano indicati espressamente dall’ente pubblico i motivi per cui tali obiettivi siano irricevibili.  Ad esempio, se un cittadino italiano indica fra i propri obiettivi prioritari quello di andare alla moschea, questo non può essere legittimamente considerato un obiettivo non prioritario.

 

  Nell’incontro che avemmo a metà giugno nella sede della Presidenza della Giunta Regionale, in presenza dei massimi esponenti regionali in materia, parlammo a lungo dell’importanza di tutelare la situazione dei disabili gravi che si trovano a vivere da soli.  Per quanto è dato ricordare, ci fu il consenso di tutti sull’importanza dell’argomento.  Ebbene, nella delibera qui in esame, l’argomento non è stato minimamente preso in considerazione.

  Questo è assai indicativo di quanto non ci si possa occupare di vita indipendente senza coinvolgere in maniera attiva i diretti interessati.  Tanto che, visto quanto era stato parlato dell‘argomento, se non fosse tragica, questa lacuna potrebbe essere considerata anche una barzelletta.

  I disabili che vivono da soli necessitano di una specifica tutela almeno per i seguenti motivi.

  PRIMO.  È una situazione oggettivamente diversa da quella di chi non vive da solo, e quindi c’è la tutela dell’art. 3 della Costituzione sotto molteplici aspetti.

  SECONDO.  L’art. 19 della Convenzione ONU sui disabili stabilisce che vita indipendente è vivere come vive la generalità della popolazione.  È noto che una parte consistente della popolazione italiana vive da single.

  TERZO.  La vita indipendente è nata proprio per i disabili che si staccavano dalla famiglia per andare a vivere da soli e poi, eventualmente, formarsi una loro famiglia.

 

  Era stata ottenuta l’abolizione del divieto alla vita indipendente per disabili ultra 65enni. Però, nella delibera in esame, per età si dànno 40 punti a chi ha 20 anni e 4 punti a chi ne ha più di 65. Quindi, di fatto questo vuol dire far rientrare dalla finestra il divieto di vita indipendente che era uscito dalla porta.  E questo è illegittimo perché in proposito nella Convenzione ONU sui disabili non vi è nessuna discriminazione.  E lo Statuto della Regione Toscana pone sullo stesso piano di priorità la vita indipendente per i disabili adulti e per gli anziani.

  È indubbiamente pregevole l’obiettivo di stimolare i giovani a fare vita indipendente.  Però è anche vero che negare di fatto la vita indipendente agli anziani significa condurli a una tristissima morte precoce. E quello che è successo nelle Rsa con il covid-19 è significativo. Quindi, il pregevole obiettivo di favorire la vita indipendente dei giovani non può valere 10 volte la vita indipendente di chi ha più di 65 anni.

  Di fatto, noi persone disabili meno giovani ci troviamo esclusi da questo finanziamento perché per gli anziani è previsto un punteggio insignificante e perché non è previsto nessun punteggio per i disabili che vivono da soli.

  Sono palesi discriminazioni e indicano la volontà di “affrontare” la disabilità attraverso la guerra tra poveri.  Ed è anche un modo semplice per far morire le persone disabili gravi prima dell’inevitabile: c’è infatti la morte precoce se viene negata l’assistenza personale necessaria ad evitare peggioramenti irrecuperabili.

 

  Considerazioni analoghe a quelle già fatte valgono per quanto riguarda il punteggio stabilito per vari obiettivi prioritari.

  Per esempio, può essere “comico”, ovvero è tragico, attribuire 40 punti per iniziare un lavoro autonomo e 16 punti per il sostegno alle attività quotidiane e domestiche, è tragico che la Regione agisca così per il semplice fatto che, se uno, fra l’altro, non mangia o non va in bagno, di sicuro non inizia un lavoro autonomo.

  Oppure, è attribuito un punteggio maggiore per l’accompagnamento a lavoro e minore per il sostegno alle attività domestiche.  Anche qui, se – fra l’altro – uno non mangia, come fa ad andare a lavoro?  Inoltre, un minimo di conoscenza della vita è sufficiente per capire che l’aiuto nelle attività domestiche e quotidiane costa molto più di quello per essere accompagnati a lavoro, ma nella delibera in esame si dànno più punti per quest’ultimo obiettivo.  Oppure, ancora, per un disabile anziano essere accompagnato a un attività associativa o di volontariato può voler dire la differenza tra morire presto o godersi di più la vita.  Questa non dovrebbe essere considerata una questione secondaria.  Eppure, nella delibera in esame, all’obiettivo di accompagnare un disabile anziano alle attività sociali è attribuito solo un quinto del punteggio assegnato a un giovane che vuole iniziare una propria attività.

  In realtà, poi, per quanto riguarda il punteggio assegnato, non ci si può basare sugli obiettivi da raggiungere, la cui importanza è del tutto soggettiva, ma ci si deve basare su ciò che il singolo disabile non può fare da sé per raggiungerli e quindi sulle necessità di assistenza personale.

  Tanto per dire che questa delibera è stata scritta senza conoscere la materia, a meno che non si voglia cadere nell’aberrazione di pensare che, in un modo o in un altro, di fatto si vogliono far fuori i disabili che hanno maggiori necessità.

 

  Nelle linee guida qui in esame, è scritto che il progetto ha validità annuale e si dà un punteggio piuttosto basso per rinnovarlo.  Però, per un disabile che inizia la propria vita indipendente, in primo luogo vivere sempre con l’ansia di non sapere fino all’ultimo se il progetto sarà rinnovato è una precarietà di vita inammissibile, dato che il progetto è indispensabile per mangiare, bere, andare in bagno, esercitare il diritto di voto, ecc..  Inoltre, se si vuole adempiere al dovere di stare coi piedi per terra, se poi il progetto non gli viene rinnovato, ad un disabile che ha iniziato la propria vita indipendente non rimane che o morire o fare proteste esasperate e tragiche.  Quindi, il punto deve essere non il rinnovo facilitato del progetto, ma il rinnovo automatico del progetto, a meno che l’ente pubblico accerti che non ci sono più i requisiti per portare avanti tale progetto.

  Inoltre, il finanziamento previsto dalla delibera qui in esame è per tre anni.  Il disabile che rinuncia alla graduatoria regionale e prende questo finanziamento, fra tre anni cosa fa?

  E ancora: nel caso in cui una persona sia già in lista d’attesa per il finanziamento regionale e ottenga il finanziamento previsto da questa delibera, il meccanismo per essere eventualmente eliminata dalla lista d’attesa regionale è comunque lungo e complesso.  Allora, se si considera che la domanda per questo bando va fatta a partire dal 15 settembre per un mese e mezzo, poi ci sono altri 30 giorni per fare le graduatorie per questa delibera, in pratica per avere la lista d’attesa regionale d’attesa sfoltita si va a comunque a gennaio dell’anno prossimo.

  Poiché il massimale individuale del finanziamento previsto dalla delibera qui in esame è inferiore di 1/3 rispetto a quello per il contributo regionale vita indipendente, è poco probabile che – anche nel caso ottenga il finanziamento previsto dalla delibera qui in esame – il disabile rinunci alla facoltà di rimanere nella lunga lista d’attesa esistente che si intende sfoltire.  Quindi, rispetto al fine di sfoltire la lunga lista d’attesa esistente per il contributo regionale, è altamente probabile che la situazione non cambi di una virgola.

  Inoltre, anche nel caso che – a seguito dello sfoltimento della lista d’attesa regionale – un disabile grave arrivi ai primissimi posti in quest’ultima lista sfoltita, in assenza di ulteriori fondi regionali, questa persona può accedere al finanziamento regionale soltanto in caso di morte di uno che riceve il finanziamento.  Tutto ciò è mostruoso.

 

  Nell’allegato alla delibera qui in esame, in un punto si parla di assistente personale al singolare e subito dopo al plurale.  Si rileva che di norma non è possibile fare vita indipendente con un solo assistente personale.

 

  Nel testo qui in esame, si scrive – di fatto con rilievo – della vita indipendente come co-housing.  Si ribadisce che la convenzione ONU sui disabili prescrive che vita indipendente è vivere come vivono le altre persone.  Viceversa, per quanto è dato di sapere, in Italia il co-housing riguarda l’1% della popolazione.

 

  Nel testo qui in esame, si raccomanda di integrare la vita indipendente con il “Dopo di noi”.  In realtà, i due termini corrispondono a due cose diverse per molti motivi.  E anche nel recente decreto legge del Governo Conte – e si fa notare che Conte si è tenuto la delega alla disabilità – “vita indipendente” e “dopo di noi” sono trattati in due commi diversi.

 

  Nel testo qui in esame, si stabilisce il tetto mensile individuale del finanziamento per la vita indipendente ad € 1.200,00.  Per i fondi regionali questo tetto è ad € 1.800,00.  Quindi, a carico dei disabili, con questa delibera la Regione Toscana peggiora la situazione del 33%.

  È compito della Regione Toscana tener conto della vita concreta delle persone (disabili). Con queste cifre, se si vuol davvero adempiere al dovere di tutelare chi ha gravi disabilità, non si consente in alcun modo la vita indipendente.

  Per molti motivi, che sono stati parzialmente esposti altrove, le badanti non vanno assolutamente bene per la vita indipendente.  Però, anche se si vuol prendere come aberrante parametro di riferimento la badante, una sola badante non può bastare per chi ha gravi disabilità e non può contare su altri.  È matematico che una sola badante non può bastare perché la badante ha diritto a 11 ore di stacco, a giorni liberi, alle malattie, alle ferie, alle festività, mentre il disabile ha il diritto di vivere in maniera continuativa.  Compreso ferie, tredicesima, malattie ecc., due badanti costano vicino a € 4.000,00 al mese.  E, al massimo, la pensione di invalidità civile è intorno ai 500 € al mese.  Di fronte a queste necessità reali, la Regione addirittura ha ridotto di 1/3 il finanziamento individuale massimo.

  Quindi, l’importo mensile del finanziamento per la vita indipendente è un problema da affrontare in via assolutamente prioritaria.  Di fatto, al di là delle chiacchere e degli inganni, c’è di mezzo l’alternativa fra vivere o morire.

 

  Nel testo in esame, è scritto che tutte le somme erogate vanno rendicontate.  Ci sono molti motivi elencabili per cui, se si vuol fare davvero vita indipendente, ciò è impossibile.  Solo ad esempio, se un’assistente si ammala all’improvviso, se il disabile ha la fortuna di trovare una persona che viene momentaneamente e non rendicontabile, che fa il disabile? Si lascia morire perché non può rendicontare?

  In un lungo incontro con l’allora Sottosegretaria di Stato Biondelli e Direttore Generale del Ministero per quanto riguarda i disabili dott. Tangorra discutemmo a fondo l’argomento e nelle successive linee guida governative veniva raccomandata flessibilità in materia.  Anche in altri paesi è così.

  La rendicontazione deve essere non trimestrale, come è ora, ma almeno semestrale o annuale.  Anche se annuale, per la Regione non cambierebbe nulla e ai disabili gravi semplificherebbe una vita già molto complicata.

  I criteri della rendicontazione devono essere omogenei su tutto il territorio regionale.  In proposito, si torna a ribadire che – per il contributo regionale vita indipendente – alcune zone pretendono addirittura la rendicontazione mensile e/o la busta paga.  Si ribadisce la richiesta di far cessare tali abusi.

 

  È necessario ribadire che i Comuni hanno il compito di integrare le singole situazioni laddove l’intervento regionale è insufficiente o assente.

 

  È molto difficile trovare assistenti personali idonei per la vita indipendente. Trovare assistenti personali idonei o non trovarli fa la differenza come fra fare e non fare vita indipendente.  In vari incontri a livello regionale fra disabili interessati alla vita indipendente, questo problema delle grandi difficoltà nel trovare assistenti personali idonei è emerso con molta forza.

  D’altra parte, se gestito bene e trattato in maniera adeguata, questo è un lavoro che piace ai giovani.  A ciò va aggiunto che, con la situazione economica già in atto e che si prospetta per l’autunno, poter dare un lavoro soprattutto ai giovani è una cosa molto importante.

  Quindi, è di notevole importanza un elenco a cui i disabili gravi possano attingere per trovare i propri assistenti personali per la vita indipendente.

  In primo luogo, questo elenco non può e non deve essere assolutamente vincolante per i disabili.  Infatti, ci sono di mezzo le libertà fondamentali e inviolabili, e quindi la scelta non può essere assolutamente vincolata entro binari.  E questo anche per via del fatto che in tale elenco possono non esserci persone idonee alle singole necessità.

  In secondo luogo, sono assolutamente decisivi i criteri per cui si può entrare in tale elenco.

  Qui, bisogna intenderci su una questione fondamentale.

  È compito degli uffici della Regione, e non nostro, trovare la forma giuridica idonea per preparare le persone ad essere ammesse in tale elenco.  Tant’è che oltre 20 anni fa, un nostro consulente, ora dirigente pubblico, capì con molta intelligenza e onestà le nostre legittime esigenze e trovò con entusiasmo la soluzione giuridica che ci consentì di fare un ottimo lavoro.  E – molti anni prima – anche il professor Adriano Milani Comparetti sapeva bene gli obiettivi legittimi, e le formule giuridiche si trovavano.

  Però, tale forma giuridica deve assolutamente salvaguardare fino in fondo la sostanza.  E cioè che un breve corso per essere ammessi a tale elenco dev’essere assolutamente gestito da disabili gravi che hanno una documentata esperienza in tema di vita indipendente.  Inoltre, tale elenco non serve a nulla se privo di determinate informazioni.

  Innanzitutto, nel 1999, come frutto di una collaborazione fra Regione Toscana e Unione Europea, fu messa in piedi un’Agenzia regionale per la vita indipendente gestita da noi.  Tale Agenzia è ancora in piedi ed è compito degli uffici della Giunta trovare il modo formale in cui affidarle la preparazione generale degli assistenti personali.

  Deve essere una preparazione secondo criteri che sono già stati pubblicati 20 anni fa nel volume “Assistenti personali per la vita indipendente”.

  Il punto fondamentale è che, ed è stato chiarito anche in delibere della Regione Toscana, la preparazione specifica degli assistenti personali deve essere effettuata interamente dal soggetto interessato. È perciò evidente che i criteri indicativi di massima per individuare persone che possono essere idonee per l’assistenza personale per la vita indipendente non possono essere stabiliti che da persone disabili con esperienza diretta in materia.  Del resto, è come dire che devono essere altre donne ad aiutare quelle che hanno subito una violenza; un compito del genere non può essere certo affidato a degli uomini.  Oppure la preparazione al parto non può essere certo affidata agli uomini per mille motivi. Questo non toglie certamente che il proprio compagno sia vicino a una donna prima, durante e dopo il parto.  Però, non può essere certo l’uomo a porre dei paletti.  Allo stesso modo, persone con qualsivoglia titolo pubblico – che non vivono sulla propria pelle le difficoltà concrete della vita indipendente – non possono condizionare in alcun modo l’inviolabilità del vivere pienamente anche con gravi disabilità.